11 settembre 2013

Ci sono telefoni e ci sono stargate


Alla fine si parte.
E parto acciaccato, parto fragile, parto indebolito e tachicardico, parto mortificato e ridotto, parto preoccupato, per la prima volta.
Ma dopo quindici giorni immerso dentro un mondo che non conoscevo, per contrasto parto consapevole di essere in ogni caso incredibilmente più vivo, profondo e reale di un sacco ma proprio un sacco di gente che in un gigantesco truman show del quale davvero ignoravo l'esistenza nonostante ne avessi intuito la dimensione, sta in piedi solo grazie al potere normalizzante dell'aggregazione.
Se uno solo di loro si allontanasse e guardasse il totale da fuori, mammamia.
Mammamia.
Quante parole per rendere notizia un tappo di bottiglia, un cane che ti ha attraversato la strada, quanto tulle sprecato per vestire di nobiltà quella che è e resta incredibile quanto evidentemente temuta solitudine umana.
Centinaia di Oscar Wilde che a ritmo di dieci, cento, mille al giorno producono nulla vestito da  trucchi dialettici, gente che ha scoperto che se giochi con i contrari puoi far sembrare profondo il nulla fermandoti al titolo con l'alibi del limite dei caratteri, siamo lontani per starci vicini, non ti guardo per vederti, allontànati per avvicinarci, sei qui perché sei lì, ti sogno da sveglio, ti sveglio sognando, conto ciò che non conta, mi rendo conto di non rendermi conto, sono tuo perché non sei mia, il nulla ma musicalissimo, decine al giorno, centinaia, un fiume in piena di wannabe filosofo con un'allegria che al confronto un gruppo di emo che si danno appuntamento in una piazza senza strisce pedonali il 4 novembre in confronto sono una bocciofila di anziani che ballano di gioia e diosantissimo nessuno che fermi il mondo scenda e si chieda se il fatto che di Wilde ne sia nato uno in cento secoli forse non è perché non c'era la rete.
Quanta paura di scoprirsi miseri umani come tutti, quanta fatica per tenere lontano il terrore del momento della rivelazione, quanta intimità svenduta come non fosse la cosa più preziosa che un essere umano possa proteggere per farne vita, quanti pacifisti che leggi contenti di buttare sale sulle ferite altrui, quante torte di compleanno che, prima di essere il sorriso dei presenti, vengono dagli occhi deformati lette a forma di inquadrature per scatti a favore di assenti che passano prima dei presenti, candeline che attendono lo scatto dello stargate che le spara nella galassia parallela e poi il soffio in questa e non il contrario, come avveniva una volta, un secolo fa, quando la priorità l'aveva chi la torta te l'aveva cucinata in questa galassia.
Io sarò precario difettoso e complesso, ma mammamia, grazie per avermi fatto comunque così perché poteva andarmi incredibilmente peggio e ora lo so.
Potevo venir su incapace di percepirmi come mi vedessi da fuori e quella sì sarebbe stata la mia rovina.
Invece è la mia salvezza.
Pensavo di esser stato immondizia e invece mi scopro oro, platino e diamanti tutto in uno stesso unico cuore.
Un cuore tachicardico per stanchezza e aritmico per tenacia, poveraccio dagli torto, ma grande quanto il mondo e tutti i pianeti dell'universo.
Stavo scivolando qui, mi sono ripreso e sono tornato qui.
Perché se quando ti trovi al bivio in cui la tua salvezza passa attraverso la distruzione altrui o attraverso la protezione altrui scegli la prima strada, tu muori dentro, perdi te stesso, ti uccidi.
Se scegli la seconda anche se consapevole che il prezzo lo pagherai interamente tu, tu sei buono come un cuore grande quanto il mondo e tutti i pianeti dell'universo.
Non si tratta di essere forti, io forte non lo sarò mai, si tratta di voler restare vivi.
Amare qualcuno non è un patto di onestà, amare qualcuno è rendere quel patto tuo unico faro.
E non si può essere onesti con nessuno se non si è mai lavorato, lavorato mani nel fango fino al punto più profondo del proprio pozzo, per esserlo prima di tutto con sé stessi.
Io da fuori mi vedo e oggi sono orgoglioso di quello che vedo, lividi compresi, anzi sono orgoglioso proprio perché sono quello che sono nonostante quei lividi.
Sto in ginocchio e mi rialzerò con incredibile fatica, ma ci sto a testa altissima.
La mia vita è fango sudore dolore e fatica e se questa è, questa vivo con dignità, proteggendola, curandola, cercando di regalarle ogni attimo di lucentezza che lungo la strada incontro e se non ne incontro li costruirò con il sudore e con le mani tagliate dalla fatica di scalare le montagne senza scorciatoie, vie che apro io e nessuno ha mai battuto prima perché in cima ci arrivo con le mie forze e con quelle di nessun altro, da sempre e per sempre perché è l'unica cosa che davvero so fare come nessun altro al mondo.
E se è umile sarà umile con dignità, se è affaticata sarà affaticata con determinazione, se è dolorante sarà dolorante con onore.
Se non avrò soldi per andare a Parigi porterò Parigi nella mia cantina dove per il compleanno la Tour Eiffel la costruirò con le mie stesse mani per chi guardando un pezzo di legno diventare un burattino e poi un bambino con il nome inciso si sentirà portata nel più bel paese dei balocchi che possa esistere al mondo, quello che sta nel cuore e non in fondo a un binario dove possono andare tutti.
Perché se la mia merda la chiamo merda, è perché solo così il mio amore potrò chiamarlo amore sapendomi onesto.
Sto in ginocchio ma a testa altissima.
E parto preoccupato, ma fiero di ciò che sono e non solo a parole.

Se non torno dite ai miei che da qualche parte c'è l'assicurazione vita con un beneficiario che non ho fatto in tempo a cambiare ma vorrei fosse ugualmente l'altro amore della mia vita e cioè mio fratello.
Si capisce che ho paura di partire, questa volta?