Gubbio e bella
In questi giorni ho lavorato con due hostess.
Quando me le hanno presentate ho avuto un colpo al cuore.
Una delle due è la copia di Michelle Pfeiffer.
L’altra non la chiamo bella solo perché aveva la prima accanto, di fianco alla quale Michelle Pfeiffer stessa avrebbe perso posizioni.
Fino a tre giorni fa ero sereno, perché sapevo che di Michelle Pfeiffer ce n’è una sola, ed essendo per me la donna più bella del mondo, avevo accettato l’idea che mai avrei avuto la possibilità di conoscere di persona, figuriamoci poi sfiorare, la donna più bella del mondo.
Ora è un casino, perché ce n’è un’altra identica, e per mia sfiga è di Milano.
E adesso come faccio io a stare tranquillo sapendo che è qui e ci ho parlato e l’ho conosciuta e?
Ho giocato con entrambe, in maniera diversa, ma ho giocato per tre giorni.
Non ho mai giocato a corteggiare le hostess, l’ho sempre trovato triste.
Ma questa volta lo consentivano, perché giocavano anche loro.
A tutti le presentavo come “la mia fidanzata”, indipendentemente da quale delle due avessi accanto.
Le ho inseguite entrambe per tre giorni, e ho rubato ad entrambe per tre giorni sguardi, parole, profumi.
Per tre giorni sono stati i visi con i quali iniziavano le giornate, e con i quali finivano.
E mi sono ricordato quanto a me un viso basti per rendere bello il resto della giornata qualsiasi cosa succeda dopo.
La prima mattina, dopo averle viste prima di colazione, ho capito perché prima o poi sono certo mi sposerò.
Ho avuto persino coccole.
Un’italiana e una no.
Le coccole dall’italiana.
Piccoli gesti da bolognese, gesti che non immagina nemmeno quanto mi abbiano dato.
Mi ha toccato solo tre volte, ma ne sento ancora la sensazione di benessere che mi ha lasciato involontariamente.
Mi ha sfiorato una volta con un dito sul petto, incrociandomi in corridoio.
Se solo sapesse quanto mi ha rasserenato con quel gesto.
Mi ha messo un braccio intorno alla vita quando l’ho salutata prima di partire, visto che io sono tornato a casa un giorno prima di loro.
Nemmeno immagina quanto quel braccio abbia reso vero quell’abbraccio per me.
Mi ha rivisto nella hall mentre riconsegnavo le chiavi e si è affiancata a me al banco, guardando nella stessa direzione, per poi di sorpresa, mentre io scherzavo con il receptionist, girarsi verso di me, e ridendo, improvvisamente, delicatamente, darmi un bacio su una spalla.
Non credo immagini quanto quel bacio mi abbia accompagnato a casa.
E la voce di Michelle, mentre andavo verso la macchina, che mi chiamava, e il suo sguardo da lontano, in mezzo a duecento persone, con il braccio alzato per farmi vedere dov’era, per dirmi solo “Ciao” con gli occhi di chi voleva dirlo davvero.
Che bella che era la mia fidanzata.
Tutt’e due.
Era tanto che non giocavo con la complicità di una donna.
Ma soprattutto era tanto che non giocavo con quella di due.
E ora le sto pensando entrambe, Nikoletta la straniera milanese, unico caso al mondo al quale consento l’uso della kappa, in quanto anagraficamente scritto così nella sua lingua, ma alla quale consentirei qualsiasi cosa pur di rivederla sorridere, e Erika la bolognese, le kappa insistono, così brava nel fare poltiglia della forza di volontà di chiunque, solo guardandoti con occhi verdi incorniciati in capelli rossi che riescono a rallegrarmi anche a distanza solo per l’effetto che la parola “rossi” ha nella mia mente pronunciato dal ricordo della sua esse bolognese.
Non so altro di loro.
Non ho chiesto nulla d’altro.
Non mi serviva sapere null’altro.
E l’immagine del loro viso in questi tre giorni mi sta facendo sentire così bene che ho voglia di trasformarmi in un novello Forrest Gump, per scendere in strada, e camminare per Milano senza fine, per tutta la vita, finchè non la incontro di nuovo, ora che so che calpesta le mie stesse strade e mi dirigo verso sud-est, così se non dovessi incontrarla andrò nella direzione che mi porterà a Bologna, a piedi, non importa, fin dove vive lei, dove ho un bacio per il quale non ho avuto modo di dire grazie.
Era tanto che non giocavo così.
E infatti non sono più capace di non innamorarmi per una carezza.
E lo sento che sono innamorato, perché adesso darei qualsiasi cosa per averle qui.
Entrambe, così com’erano, sempre insieme, perfette, fatte l’una per l’altra.
Se non avessi paura di aver capito male quello che in certi momenti non sembrava più un gioco, salirei in questo esatto momento in macchina e mi rifarei di nuovo sei ore di macchina, fregandomene della stanchezza del viaggio di ieri, per tornare indietro e comparire nella hall inaspettatamente davanti al loro banco senza dire nulla.
Sono certo che capirebbero.
Cazzo, mi mancano sul serio, altro che gioco.
Ma si può essere così scemi??!!!
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