26 ottobre 2002

Pesce fresco





Si, parlo spesso del mio lavoro.

Mi piace e lo faccio bene.

Impossibile non parlarne, quindi, per chi ha fatto dell’egocentrismo un infallibile specchietto per le allodole.

Sarebbe come per un baro non sfruttare le mani tremolanti del suo avversario.

Come si fa a conoscere il resto, mi hai chiesto.

È semplice, basta fare quello che faccio io.

Io per lavoro creo immagini.

Non “faccio” immagini, le creo.

C’è una gran bella differenza.

Qualcuno mi telefona, mi convoca, mi spiega a parole di cosa si tratta.

Mi dice chi è la persona che dev’essere convinta, mi dice quanto tempo questa persona avrà a disposizione per guardare quello che gli farò vedere e mi dice “Ora tocca a te”.

Io a quel punto non devo fare altro che sedermi, pensare a chi guarderà quello che io creerò, tirare fuori tutta l’esperienza accumulata negli anni nel capire ed interpretare le persone, seleziono i loro desideri, le loro paure, i loro bisogni.

E li traduco in fondi rossi o bianchi a seconda di come vorrei che si sentissero durante l’intera durata del flash, decido di sporcare quel fondo se non avrò di fronte gente che non si distrarrà facilmente, ruberò immagini agli americani ma come ogni loro cosa, lo farò solo perché ne sono pieni, ma di come l’hanno immaginata loro non ne lascerò praticamente traccia, sceglierò un ritmo da dare a quel flash, conterò le parole da dire, le dividerò per la durata del flash, per sfizio le renderò ulteriormente veloci sfiorando il subliminale e creerò tutto questo continuando a stare nei panni di chi non sa.

Sei stata alla Smau, mi hai detto.

E mi hai detto che involontariamente quello che hai visto dentro quegli schermi ti ha fatto pensare a me, e la velocità con qui ti hanno invasa quelle immagini ti ha fatto pensare a me, e che non sai il perché.

Hai visto il lavoro di qualcuno che lo sa fare, ecco perché.

Non so ovviamente chi sia, perché non so nemmeno di che schermi tu stessi parlando, ma non ha importanza.

Quella fiera è davvero una fiera.

Ma a differenza di quello che si pensa, non è una fiera dedicata al pubblico, bensì a quelli che la creano.

Chi per lavoro crea immagini, spesso nemmeno vede la faccia di chi guarda ciò che si è creato.

Pensa a chi lavora per le riviste, tante ore a immaginare, a pensare, a preparare, senza mai avere la possibilità di guardare in faccia chi guarda il risultato per capirne le reazioni, catalogarle, trasformarle in bagaglio pronto per essere venduto nel lavoro successivo.

Pensa a chi inventa cruciverba.

Per capire la reazione delle persone alle difficoltà e ai tranelli nascosti nel suo cruciverba dovrebbe poter entrare nei gabinetti di migliaia di appartamenti.

La Smau è un circo per noi.

Finalmente siete vivi, siete li, davanti agli schermi, bombardati da migliaia di watt buttati come reti da pesca in un mare di aringhe.

Noi siamo i pescatori, i nostri clienti le pescherie,le nostre immagini le esche.

Voi i pesci.

Noi non veniamo pagati in base a quanti telefoni venderà il nostro cliente dopo la Smau, ma in base a quanti pesci cadranno nella nostra rete.

A vendere i telefoni ci penseranno poi le persone che a noi chiedono aiuto per pescare.

Chi ha una pescheria avrà sempre bisogno di pescatori bravi.

La Smau è una gara di pesca, nulla di più.

Io ci sono alla Smau, in questo momento sto pescando.

Ieri sono andato a vedere se chi si occupa di gettare le reti mie e delle persone con cui ho lavorato le aveva gettate bene, e sono andato a vedere quanti pesci erano già caduti nella nostra rete.

La Smau è un torneo di pesca al quale partecipano i pescatori più bravi.

Perché la luna dura solo quattro giorni, la temperatura dell’acqua rimane calda solo per questi quattro giorni, la composizione dell’acqua in questi quattro giorni fa si che da quel bacino transitino migliaia di pesci senza fermarsi per poi proseguire e scomparire se non pescati.

Serve bravura, esperienza, per sfruttare questo passaggio nel modo più proficuo possibile, e le pescherie lo sanno così bene che per questo torneo chiamano i più bravi pescatori sulla piazza.

Ieri ho visto la nostra rete piena di pesci, impazziti, contenti, convinti di essere loro i predatori, con la pancia e le orecchie e gli occhi pieni di quello che noi abbiamo lanciato in acqua per attirarli.

Tutti li, inconsapevoli del perché li piuttosto che due metri dopo.

Megan Gale dicono, per i pantaloni gonfi di centinaia di pesci, donne, per gli occhi gonfi di centinaia di pesci.

A me hanno detto che mi sarei occupato della rete più grande, una rete rotonda, del diametro impressionante di ottanta metri, gettata e sospesa a quattro metri d’altezza, guarda caso, rotonda, spietata, così bella e grande e impressionante che anch’io finalmente sul posto ne sono rimasto imprigionato.

“Funziona!” mi sono a quel punto detto.

Se ci finisci dentro non avrai scampo in nessuna direzione, ti terrà li, imprigionato, dall’alto, mentre in basso il resto dell’equipaggio ti preparerà per la pescheria, i cui rumori verranno nascosti da migliaia di watt come bombe flash che distraggono e rendono vulnerabili per pochi secondi durante i quali venite assembrati in gruppi grandi quanto cassette di polistirolo a forma di cellulari con display a colori e auricolari hi-tech.

E ieri sono stato felice di nuovo, perché le mie reti, quando cucite insieme al meglio dei pescatori, si trasformano nelle migliori reti disponibili nei migliori negozi di reti da pesca.

E l’ho visto dal vivo, compiaciuto, mimetizzato, sorridente.

Vuoi sapere chi sono.

Fai quello che faccio io.

Ascolta le mie parole, pensa ai tuoi desideri, ai tuoi bisogni, alle tue paure, e traducimi in colori, scritte, parole scelte con accuratezza, flash subliminali.

Non ha importanza se saranno come la realtà, tanto non cambierebbe le tue emozioni.

Disegnami come più ti piace e avrai capito cosa faccio per lavoro.

La differenza è che per lavoro compongo zone di colore e di luce, nella vita uso lettere e parole.

Senza altra differenza, né nella capacità, né nel risultato.

Sei stata alla Smau, hai detto, e hai detto di aver sentito la mia presenza.

C’ero.

A quattro metri d’altezza, intorno a te per ottanta, urlo come un pazzo, ti spingo, ti trattengo, ti zittisco e faccio di te più o meno quello che mi pare.

Come quando mi leggi.

Amo le ostriche e detesto aspettare.

Per questo sono diventato un bravissimo pescatore.

Se le mie parole raffigurate attraverso la tua immaginazione non ti faranno immaginare la realtà, vuol dire che non avresti visto giusto lo stesso.

Sono l’uomo più bello del mondo, cosa ti serve sapere di più?

Ascolta le mie parole.

Immagina come vorresti che fossi.

E poi alza lo sguardo a quattro metri.

Non so come altro spiegarmi.

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