9 gennaio 2002

Tanto tempo fa... in una galassia lontana lontana...



L'ho trovato sfogliando (si dirà così) il sito del Corriere. Mi sembra un riassunto sufficientemente chiaro della faccenducola, e visto che tutti i Tg la commentano dando per scontato che ognuno di noi sa cosa è successo anni fa, me la copio qui sotto, così se qualcuno non ha ben chiara la faccenda e ha voglia di scoprire da quanto tempo l'italico nano.... ecco, no, lo sapevo...di nuovo polemico!!! Diciamo se qualcuno non sa cosa è successo, qui può leggere un veloce e abbastanza chiaro riassunto.

Ovviamente ad ognuno la briga di separare il racconto dal commento vero dell'autore.



Una storia italiana

di PIERO OSTELLINO



Che piaccia o no, in un’aula del Palazzo di Giustizia di Milano, si (ri)scriverà, nel corso del dibattimento sul «caso Sme», imputato, fra gli altri, Silvio Berlusconi, un capitolo di storia politica della Prima Repubblica. Poiché, però, continuo personalmente a credere che spetti solo agli storici, in sede storica, e non anche ai magistrati, in un’aula di un tribunale, scrivere la storia di un Paese, il mio auspicio è che siano unicamente gli atti processuali a ispirare la pubblica accusa e a guidare la magistratura giudicante, quale che sia la sentenza che ne uscirà. La storia è nota. Una sentenza del 1988 annulla un pre- contratto di vendita di un grande gruppo alimentare, la Sme, da parte dello Stato all’ingegner Carlo De Benedetti, dopo che è pervenuta un’offerta di acquisto più consistente ad opera di una cordata costituita da Pietro Barilla, Michele Ferrero e Silvio Berlusconi. La cordata è nata per iniziativa di Barilla, che in precedenza si era già fatto avanti per l’acquisto separato della Motta, dell’Alemagna e della Pavesi, e a seguito di una sollecitazione dell’allora presidente del Consiglio, Bettino Craxi, contrario a che la Sme finisca nelle mani di De Benedetti a un prezzo e a condizioni di vendita ritenuti inadeguati.



De Benedetti è politicamente vicino alla sinistra e a De Mita, allora segretario della Democrazia cristiana, oltre che a Prodi (presidente dell’Iri, proprietario dell’azienda), che proprio da De Mita è stato messo a capo dell’Iri. La Sme non finisce né a De Benedetti, né alla cordata Barilla-Ferrero-Berlusconi e sarà più tardi smembrata e venduta a pezzi. I ricorsi di De Benedetti contro l’Iri, sia in sede amministrativa, sia in sede giudiziale, per il mancato acquisto, sono tutti respinti ai vari livelli.

Come si vede, una storia di ordinaria contiguità fra mondo politico e mondo degli affari. Tipica della Prima Repubblica. Ma, peraltro, anche una storia con una coda che collega esemplarmente la Prima alla Seconda Repubblica. Michele Ferrero, dal momento in cui è entrato a far parte della cordata contro De Benedetti, finisce sotto il torchio della Finanza con accuse che poi si riveleranno del tutto infondate, fino a essere costretto a trasferire la propria azienda all’estero. Berlusconi, che si è unito a Ferrero e a Barilla più che altro per amicizia e per non spiacere a Craxi, ma che, nel frattempo, è diventato un uomo politico e ora addirittura presidente del Consiglio, finisce, quasi vent’anni dopo, sotto processo con l’accusa di aver corrotto la magistratura che ha annullato il pre-contratto di De Benedetti.



Questa storia ha anche una morale. Riguarda il modo con il quale la si vuole raccontare agli italiani. Un modo, che a me pare anche il più corretto, è quello di ritenerla, appunto, un caso di ordinaria contiguità fra potere politico e potere economico, aggiungendo che il giudizio vale, evidentemente in eguale misura, per le due parti in competizione. Se è un fatto che la cordata Barilla-Ferrero-Berlusconi, che fece fallire l’accordo fra l’Iri e De Benedetti, aveva una contiguità politica con Craxi, a me pare sarebbe altrettanto difficile sostenere che le condizioni particolarmente favorevoli alle quali De Benedetti stava per comprare la Sme non fossero anch’esse figlie di una qualche contiguità politica dell’Ingegnere. Questa era l’Italia di allora. Ciò che l’Italia di adesso dovrebbe evitare è di censurare solo una metà di quell’Italia, perpetuando una divisione che, alla prova dei fatti, non dovrebbe più avere ragione d’essere.



thanks to PIERO OSTELLINO

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